Archivi del mese: novembre 2013

Caccia al fascicolo. Lo sport (meno) preferito dagli avvocati

È uno sport in voga tra gli avvocati (obtorto collo) negli ultimi anni . Si pratica nei Tribunali, specie quelli più grandi e ultimamente, con la nuova geografia giudiziaria, sta prendendo sempre più piede.
Le regole sono semplici: il povero fascicolo d’ufficio (che si estinguerà definitivamente il prossimo giugno 2014) deve cercare di nascondersi e non farsi trovare dagli avvocati, i quali hanno la pretesa di avanzare diritti nei suoi confronti.
Ha molti luoghi, in Tribunale, per nascondersi: sotto le scale, in oscure stanze, su carrelli in attesa di essere lavorato. Ma non solo. A volte viene pure portato via da valorosi aiutanti, destinato in locali distanti e sconosciuti.
Ma l’aiuto maggiore, spesso, viene dato dai cancellieri, veri e propri folletti tutto (non) fare, che li gestiscono.
Questa mattina mi sono purtroppo “divertito” in questo sport.
Nel mese di settembre avevo fatto una rinuncia ad una esecuzione, presentata all’ufficio iscrizioni (dove il fascicolo si era inizialmente nascosto) depositando congiuntamente l’istanza di ritiro del titolo per procedere ad una diversa esecuzione.
In questo caso doveva servire l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, quindi il furbo fascicolo veniva trasportato in cancelleria. Ma non da subito. È stato necessario un mio sollecito alla cancelliera la quale l’ha poi richiesto.
Ad oggi sono passati due mesi dall’istanza di settembre.
Non vedendo nulla dai terminali allo studio (si doveva visualizzare l’autorizzazione del GE al ritiro), mi sono recato nuovamente in cancelleria. Il tremendo e sfuggente fascicolo, però, non era più lì, ma era stato restituito ai piani interrati, questa volta in archivio.
La ragione ?
Dal mese di ottobre (quindi dopo la mia istanza) una circolare del simpatico Tribunale ha previsto l’automatica restituzione del titolo originale, senza passare per il Giudice, nel caso di estinzione per rinuncia.
Ma nessuno mi ha avvertito, e nessuna comunicazione affissa fuori dalla cancelleria.
Questo fascicolo si è dimostrato furbo come una volpe.

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Inibitoria concessa su reclamo al provvedimento del Giudice Tutelare

Eccezionale provvedimento del Tribunale di Roma.

La 1^ sezione civile, sul reclamo proposto contro il provvedimento del G.T., ha accolto l’inibitoria proposta.

Il Tribunale, in composizione collegiale, ha disposto infatti che “in via interinale l’amministrata non sia spostata dall’attuale struttura che la ospita“. 

Il fatto. Il Giudice Tutelare del Tribunale di Roma aveva deciso la sostituzione dell’ADS (amministratore di sostegno). Il nuovo amministratore aveva già provveduto ad attivarsi per spostare l’amministrata, ricoverata presso una RSA, fuori Roma, nella propria residenza. La Struttura sanitaria, altamente specializzata, non potendosi inizialmente rifiutare di assecondare l’ipotesi di trasferimento poiché programmata con l’intervento di autoambulanza e di medico a bordo, ha potuto respingere, all’ultimo momento, la pretesa a seguito dell’inibitoria concessa, immediatamente inviata al direttore della RSA.

Ad oggi non era mai stata accolta l’inibitoria avverso un provvedimento del Giudice Tutelare. Così ci fanno sapere dalla 1^ sezione civile del Tribunale di Roma.

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Assicurazione obbligatoria per gli Avvocati.

L’art. 12 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, stabilisce che “1. L’avvocato, l’associazione o la società fra professionisti devono stipulare, autonomamente o anche per il tramite di convenzioni sottoscritte dal CNF, da ordini territoriali, associazioni ed enti previdenziali forensi, polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall’esercizio della professione, compresa quella per la custodia di documenti, somme di denaro, titoli e valori ricevuti in deposito dai clienti. L’avvocato rende noti al cliente gli estremi della propria polizza assicurativa. 2. All’avvocato, all’associazione o alla società tra professionisti è fatto obbligo di stipulare, anche per il tramite delle associazioni e degli enti previdenziali forensi, apposita polizza a copertura degli infortuni derivanti a sé e ai propri collaboratori, dipendenti e praticanti in conseguenza dell’attività svolta nell’esercizio della professione anche fuori dei locali dello studio legale, anche in qualità di sostituto o di collaboratore sterno occasionale. 3. Degli estremi delle polizze assicurative e di ogni loro successiva variazione è data comunicazione al consiglio dell’ordine. 4. La mancata osservanza delle disposizioni previste nel presente articolo costituisce illecito disciplinare. 5. Le condizioni essenziali e i massimali minimi delle polizze sono stabiliti e aggiornati ogni cinque anni dal Ministro della giustizia, sentito il CNF”.

La norma predetta si sovrappone, con il carattere della specialità, a quella di cui all’art. 3, comma 5, lett. e), del D. L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella L. 14 settembre 2011, n. 148, avente sempre ad oggetto la assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile e riferita ai professionisti iscritti ad un Ordine Professionale, la cui entrata in vigore è fissata alla data del 13 agosto 2013.
In considerazione del superamento di tale norma dalla lex specialis posta dal richiamato art. 12, deve ritenersi che – per quel che attiene alla entrata in vigore dell’obbligo assicurativo – sia necessario farsi riferimento esclusivamente a tale ultima disposizione, onde l’obbligo in questione dovrà essere osservato allorquando il Ministro della Giustizia avrà emanato il decreto di cui al comma 5.

Tutti sanno che gli avvocati ad oggi non sono tenuti ad avvalersi di una assicurazione professionale. Tutti meno le compagnie assicurative, che inondano le e-mail di proposta a seguito dell’obbligatorietà.

Il CNF sta ancora studiando la soluzione assicurativa migliore per la categoria forense.
Sta ipotizzando, ad esempio, di porre una franchigia di € 1000,00. La cosa mi fa sorridere.

Per un decreto ingiuntivo, di fronte al GdP, liquidano oggi addirittura € 50,00. La liquidazione media in Tribunale, quando non compensano le spese, è di € 2000,00. Come è possibile, quindi, porre una franchigia di tale importo a fronte di quel guadagno ?
È come se l’avvocato riuscisse a sbagliare (e ad essere tenuto ad una responsabilità professionale) per importi pari ai proventi giudizialmente statuiti. Un avvocato, se sbaglia (e sicuramente sbaglia prima o poi: “l’avvocato migliore è quello che sbaglia di meno” si sa), lo farà più spesso per le piccole cose, mentre le situazioni più plateali si conteranno sulla punta delle dita.

Forse allora conviene togliere del tutto la franchigia giacché, se dovesse capitare il grave infortunio professionale, l’avvocato non starebbe chiaramente a guardare la franchigia. Sarebbe compromessa l’intera vicenda, l’intera causa. Il cui valore, mediamente, è ben superiore a € 1000,00 (nella “vecchia” tariffa forense lo scaglione più frequente era quello di € 5.000-25.000).

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Il saluto di un Giudice agli avvocati

Sono stato molto felice oggi, nell’attesa di celebrare l’udienza alla XII sezione (meglio, nell’attesa della controparte costituitasi all’ultimo secondo disponibile), di leggere il saluto di un Giudice rivolto agli avvocati che per anni hanno avuto la fortuna -aggiungo io- di averlo come magistrato in quella sezione.

Segnala il Giudice, tra l’altro, il dispiacere di dover essere costretto a cambiare materia dopo la decennale esperienza maturata. Ed è così: quando ormai sei perfettamente inserito in meccanismo che funziona, sei costretto a lasciare, devi cambiare. E vanifichi quel bagaglio di rapporti umani e professionali fin lì acquisito.

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Il processo suppone la verità, suppone che si creda alla verità.

Quid est processum ? Il processo è la ricerca della verità.

Una verità però processuale, che non potrà mai (o difficilmente potrà) essere sovrapponibile alla verità sostanziale. Per Calamandrei la verità giudiziale era “quel surrogato della verità che è la verosimiglianza” (cfr. Verità e verosimiglianza nel processo civile, 1972).

Una verità che, in perfetta coerenza con il relativismo politico della democrazia, come quella attuale, tende spesso a rimettere il suo accertamento nelle mani del voto popolare, dell’opinione pubblica, quando questa viene strumentalmente coinvolta.

Ma il pubblico, la sua opinione, l’informazione giornalistica (specie televisiva) nel sostituirsi alla figura del giudice, soggetto terzo e quindi fulcro della certezza della verità, pone in essere la negazione stessa del giudizio.

Dal primo esempio di capo politico democratico che in una questione controversa si rivolge al popolo e si attiene alla sua decisione, ne sono passati di anni. Dal Pilato miscredente e non credente nella verità giudiziale, si contano -e si ripetono- nella storia innumerevoli abdicazioni dei giudici a favore del veto, e dell’urlo, popolare.

Dal processo di Gesù in poi, insomma, abbiamo assistito a molti, troppi, giudizi in cui il vincitore celebra sul vinto le conseguenze della volontà plebiscitaria dell’opinione pubblica. E che questa risulti pure facilmente orientabile da chi ne ha interesse, non è cosa da tenere in secondo ordine.

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